In questo post la Dott.ssa Valeria Strada ci spiega perchè definiamo la Dislessia e i DSA come delle "caratteristiche" su base neurobiologica. Ringrazio personalmente la collega per questo spunto utile per tutti i genitori, insegnanti ed operatori interessati al tema di approfondimento dei Disturbi Specifici di Apprendimento. Buona lettura.
“Dislessia, Disortografia e Discalculia possono essere definite
caratteristiche dell’individuo fondate su una base neurobiologica; il termine
caratteristica dovrebbe essere utilizzato dal clinico e dall’insegnante in
ognuna delle possibili azioni (descrizione del funzionamento nelle diverse aree
e organizzazione del piano di Aiuti) che favoriscono lo sviluppo delle
potenzialità individuali e, con esso, la Qualità della Vita. L’uso del termine
caratteristica può favorire nell’individuo, nella sua famiglia e nella Comunità
una rappresentazione non stigmatizzante del funzionamento delle persone con
difficoltà di apprendimento; il termine caratteristica indirizza, inoltre,
verso un approccio pedagogico che valorizza le differenze individuali”. Documento
PARCC (2011)
Un tempo anch’io andavo a
scuola ed essendo DSA avevo le mie belle difficoltà. La mia diagnosi in età
tardiva mi ha tolto un macigno dalle spalle ma non sempre è così.
Che percezione si può
avere di Sé dopo una diagnosi di DSA? E che idea ci si può fare rispetto alla
rappresentazione ha la società sui DSA? Che responsabilità noi tecnici abbiamo
nel vissuto della famiglia e del bambino? E nel cambiamento culturale? Le
nostre diagnosi sono piene di numeri, percentili, deviazioni standard, dati sui
Quozienti Intellettivi, codici. Oltre a dare un profilo funzionale, cosa dice
al bambino? Che cosa dice alla famiglia? Che cosa comunica al mondo?
In una ricerca condotta
da Griffin & Pollak nel 2009
(Dyslexia 15: 23-41) è stato condotto uno studio qualitativo basato
sulle esperienze di 27 studenti con DSA. I partecipanti hanno avuto una delle
due seguenti concezioni sulla loro identità “neurodifferente”: Una concezione
in cui la neurodiversità viene vista come una differenza che comprende un
insieme di forze e debolezze (caratteristica). Una concezione “deficitaria”
in cui la neurodivesità è vista come una condizione medica svantaggiosa (disturbo).
E’ stato riscontrato che la prima concezione è associata ad una maggiore
ambizione lavorativa nei soggetti, una maggiore autostima ed una maggiore
capacità di proiettarsi nel futuro.
Noi, con il documento diagnostico
possiamo contribuire allo sviluppo di un’identità positiva e a quel cambiamento
culturale in cui i nostri bambini crescono. Il tecnico può parlare di un “disturbo”
oppure di neuro-varità e di caratteristica, può specificare che ognuno di noi è
diverso dall’altro, che ognuno di noi ha punti di forza e di debolezza. È questo cambiamento culturale la cornice
etica in cui noi tutti dobbiamo inserire il nostro lavoro. Spesso assistiamo a
numerosi convegni e formazioni per genitori e insegnanti ma poi, dopo qualche
giorno, ci accorgiamo che nulla è cambiato soprattutto nella mentalità delle
persone rispetto alla diversità. Il concetto di caratteristica porta dentro di
sé la speranza che tutti gli individui possono essere riconosciuti per i loro
talenti e vedersi abili e capaci, dove i doni sono amplificati e le debolezze
ridotte. Il nostro contributo deve avere due finalità: Rendere il sistema
consapevole delle parole e dei concetti utilizzati e consentire ai ragazzi di
costruire un’idea di sé ragionevolmente accettabile.
Quindi un ragazzo con DSA
vive una condizione esistenziale che richiede un aiuto, per la realizzazione
dei suoi diritti umani secondo quanto stabilito dalla convenzione dell’ONU che afferma
che lo sviluppo neurologico atipico è una normale differenza individuale che
deve essere riconosciuta e rispettata come ogni altra variazione umana. Ognuno
di noi parla, cammina, si relaziona, ama e impara in modo diverso. La
caratteristica dei dislessici è una difficoltà marcata nei compiti di lettura e
a volte di scrittura e di calcolo, tuttavia l'obiettivo degli aiuti non può e
non deve limitarsi a favorire lo sviluppo di queste abilità ma favorire lo
sviluppo dell'essere, del divenire e dell'appartenere. Le dislessie non sono
cose ma persone e dovunque vi siano persone esiste multifattorialità,
complessità, diversità.
Concludo con una frase del
prof. Ciro Ruggerini al quale mi sono ispirata per questa nota: “Dammi una mano a svilupparmi ma non pretendere di trasformarmi in
qualcos’altro”
Psicologa, psicoterapeuta sistemico
relazionale perfezionata in psicopatologia dell’apprendimento,ho un centro
privato specialistico per DSA a Termoli (CB) della quale sono coordinatrice.
Nel centro facciamo diagnosi, potenziamento e doposcuola specialistico. Sono
componente del gruppo di lavoro sui DSA dell’Ordine degli Psicologi del Molise.
Telefono 3928366186
riceve presso Studio sul Corso Fratelli Brigida, 150, a Termoli (CB)